Il tema si è imposto lo scorso 21 giugno, quando Donato Marti, un operaio in pensione originario di Avetrana (Taranto), è morto mentre lavorava alla ristrutturazione di un immobile nel centro della città. È caduto da un’impalcatura alta cinque metri. La sua morte ha addolorato la comunità non solo perché la sua è stata l’ennesima morte sul lavoro, ma perché era un pensionato. Marti “avrebbe dovuto godersi la pensione, giocare con i nipoti e farsi qualche passeggiata con la propria moglie”, ha detto l’ex vicesindaco di Avetrana, Alessandro Scarciglia. “Per sopravvivere, invece, nonostante l’età, era costretto a lavorare ancora”.

Anche i sindacati hanno usato toni molto duri. “Le morti sul lavoro sono tutte inaccettabili, quella di un operaio edile di 72 anni che precipita da un’altezza di 4-5 metri fa ancora più rabbia”, ha dichiarato il segretario generale della Uil di Lecce. La segretaria generale della Cgil di Lecce, a sua volta, ha denunciato con forza il problema: “Si pone una questione di vera e propria sopravvivenza per chi arriva alla pensione dopo quarant’anni di duro lavoro e di colpo si ritrova a fare i conti con lo stato di bisogno. Molti pensionati sono quasi costretti a ricorrere a lavori extra, spesso di fortuna. Serve con urgenza un provvedimento che aumenti il potere di acquisto delle pensioni, allargando per esempio la platea dei percettori della cosiddetta quattordicesima”.

La stampa internazionale l’ha definito “grande depensionamento”: il fenomeno che sta obbligando gli anziani che erano in pensione a tornare a lavorare a causa del rialzo generale dei prezzi e dell’aumento dell’inflazione. Secondo il Washington Post, negli Stati Uniti circa 1,5 milioni di pensionati hanno ripreso a lavorare nell’ultimo anno, un dato in controtendenza con quanto accaduto negli ultimi due anni, quando 2,4 milioni di persone sono uscite dal mercato del lavoro scegliendo il prepensionamento.

Nel Regno Unito, i dati dell’Office for national statistics (Ons) mostrano che circa centomila persone con più di 65 anni sono tornate a lavorare o cercano lavoro da quando è finita la fase più critica dell’emergenza sanitaria. Le cause sono molteplici. Alcuni pensano che l’aumento sia dovuto alla solitudine generata dalla pandemia, che spingerebbe le persone a rivolgersi al lavoro per ritrovare un po’ di socialità. Più realisticamente la ragione che ha spinto molti anziani a tornare al lavoro è stato l’aumento del costo della vita. L’inflazione si è mangiata il 20 per cento della pensione, dicono molti, e i piani di pensionamento che un anno fa sembravano sostenibili oggi non lo sono più.

I salari sono troppo bassi e le pensioni sono troppo basse: questo è il nocciolo della questione

Il grande depensionamento è un fenomeno molto attuale e destinato a far discutere, anche perché spesso le condizioni di salute delle persone che “escono” dal pensionamento non gli consentirebbero di rientrare al lavoro.

In Italia la situazione è meno chiara. Il rapporto Istat Le condizioni di vita dei pensionati, pubblicato nel 2021, sottolinea che i pensionati che hanno continuato a lavorare dopo la pensione sono aumentati di 420mila unità nel 2019 rispetto a quanti avevano fatto la stessa scelta nel 2017. L’aumento riguarda in maggioranza uomini del nord con una bassa scolarizzazione.

Il recente rapporto annuale dell’Inps aggiunge a questo dato ulteriori elementi di contesto. Secondo l’Inps, infatti, il 32 per cento dei pensionati italiani (più di 5 milioni di persone) ha redditi da pensione inferiori ai mille euro al mese, un dato che rischia di precipitare molti di loro, soprattutto donne, in una condizione di povertà assoluta, in un contesto di elevata inflazione come quello odierno. Non a caso il Sindacato dei pensionati italiani Spi Cgil ha, qualche giorno fa, richiamato l’attenzione sull’urgenza di interventi strutturali a favore dei pensionati, puntualizzando, per chi non lo sapesse, che “non sono dei privilegiati”.

Negli ultimi anni si è parlato più volte del presunto conflitto tra la generazione nata durante il boom economico e quella dei giovani contemporanei, nati in un contesto di precarietà, recessione e lavoro povero. Sempre di più, tuttavia, questo presunto conflitto somiglia a una tragica convergenza.

I salari sono troppo bassi e le pensioni sono troppo basse: questo è il nocciolo della questione. Servono interventi urgenti per aumentarli entrambi: bisogna aumentare le pensioni, allargare la platea dei pensionati che percepiscono la quattordicesima, introdurre il salario minimo e potenziare il reddito di cittadinanza. È atroce pensare che la politica si occupi così poco sia di pensioni sia di redditi, mentre molti pensionati, come Donato Marti, dopo i settant’anni tornano al lavoro per mantenere se stessi e dare una mano, quando possono, alle nuove generazioni precarie.

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