L’Archivio storico comunale. Palermo, febbraio 2022. (Francesco Bellina per L’Essenziale)

Lungo i muri del vecchio mandamento dei tribunali, nel quartiere della Kalsa che dal mare si inoltra fino al cuore di Palermo, rispunta una storia dimenticata. Una storia fatta di soprusi, denunce anonime e omicidi di stato che ha attraversato la città per buona parte dell’età moderna, quando dalla fine del quattrocento la Sicilia governata dagli spagnoli si ritrovò sotto il giogo del tribunale dell’Inquisizione. Istituito sulla falsariga di quello di Madrid, ebbe caratteristiche e compiti simili e formulò giudizi ugualmente arbitrari, che condussero a incarcerazioni, torture e condanne al rogo. Nelle sue morse finirono intellettuali, liberi pensatori, nobili e poveracci, marinai e contadini, spesso vittime di denunce sussurrate, di sospetti non verificati o di rese dei conti tra famiglie.

Questa storia la si volle chiudere nel 1783 in un ultimo rogo liberatorio di tutti i documenti relativi ai processi, per evitare ritorsioni e per avviare una nuova epoca ispirata agli ideali dell’illuminismo. Ma quelle vicende sono recentemente riemerse grazie all’interesse di alcuni studiosi e a un’opera di recupero di un passato che “ci racconta anche molto del nostro presente”, come dice Laura Anello, presidente della fondazione Le vie dei tesori, che ha l’obiettivo della riscoperta e della restituzione al pubblico delle storie e dei luoghi del passato palermitano.

È con lei che ci avventuriamo nei luoghi più emblematici di questa storia rimossa, dalle principali sedi dell’Inquisizione fino alle vestigia della comunità ebraica, travolta come in Spagna dall’editto reale che ne sancì la cacciata nel 1492.

Il tribunale fu istituito a Palermo nel 1487 e, come quello spagnolo, tra i suoi obiettivi c’era identificare i cosiddetti “cripto-giudei”, cioè quelli che pubblicamente si erano convertiti ma in privato continuavano a professare la fede ebraica. Non è un caso che la sua prima sede fosse palazzo Marchesi, un edificio del tardo quattrocento a Ballarò, a due passi da quello che una volta era il quartiere ebraico. Dal grande cortile si accede a una serie di segrete in cui venivano rinchiusi i detenuti in attesa di giudizio o di esecuzione della condanna. Paradossalmente, nello stesso cortile si conserva una delle poche reminiscenze intatte del passato di una comunità che prima dell’espulsione arrivava a contare trentamila persone: da una porticina si scende una scala che porta a un miqveh, il bagno rituale utilizzato dalle donne per la purificazione dopo la gravidanza e il ciclo mestruale. Oggetto di pellegrinaggi da parte di ebrei provenienti da Israele e dagli Stati Uniti, oggi è aperto solo in occasione di eventi specifici.

Una sinagoga nascosta

Uscendo da palazzo Marchesi e camminando per poche centinaia di metri si arriva all’Archivio comunale, la cui sede nell’ex convento di san Nicolò da Tolentino trasuda di storia: qui sono conservati i documenti della città prodotti tra il 1275 e la metà del novecento. La sua aula centrale è un’altra traccia del passato ebraico, perché sorge nel luogo esatto dove una volta era la sinagoga. L’architetto napoletano Giuseppe Damiani Almeyda, a cui fu affidato il progetto nel 1882, ha voluto idealmente restituire la sala alla sua antica funzione. La grande stanza si può considerare una “sinagoga trasposta”, a pianta quadrata , con le stesse misure, le stesse aperture e lo stesso orientamento a est dell’ingresso di quella originale. È qui che, in memoria di quella vicenda dolorosa, è esposta in una teca la traduzione in siciliano dell’editto di Granada, con cui nel 1492 si sancì la cacciata degli ebrei.

Per arrivare al cuore dell’itinerario, però, bisogna uscire dai vicoli tortuosi di Ballarò e scendere lungo via Vittorio Emanuele. A piazza Marina, nello spazio oggi occupato dal giardino Garibaldi con i suoi imponenti ficus secolari, si tenevano i roghi, spettacoli cui il pubblico assisteva da palchi e tribune allestiti ad hoc. La posizione non è casuale: si trova proprio di fronte al palazzo Chiaramonte, anche noto come Steri. Qui fu trasferita l’Inquisizione nel 1601, al culmine della sua attività, e qui rimase fino alla sua definitiva chiusura.

Caccia agli eretici

Finita l’epoca degli ebrei, il Santo Uffizio si dedicò a dare la caccia a eretici, blasfemi, ladri e semplici pensatori liberi, creando una rete di informatori e delatori che a detta di Leonardo Sciascia “avrebbe fatto impallidire quella dell’Ovra”, la polizia segreta fascista. Lo scrittore siciliano, insieme alla storica Maria Sofia Messana, di cui è appena stato ripubblicato da Sellerio il libro Inquisitori, negromanti e streghe nella Sicilia moderna (1500-1782), è stato uno dei narratori più appassionati di questa storia dimenticata.

Oggi sede del rettorato, palazzo Steri è al centro di un’opera di recupero che ha dell’incredibile. Già all’inizio del novecento, durante dei lavori di ampliamento vennero alla luce per caso dei graffiti sui muri. Erano disegni di carattere religioso, poesie e scritte in varie lingue lasciate dai prigionieri rinchiusi in quelle che un tempo erano le segrete del tribunale. A studiarle fu chiamato lo storico delle tradizioni popolari Giuseppe Pitrè, che cercò di bloccare i lavori per conservare quei reperti. Egli scrostò pazientemente l’intonaco, fece emergere altre scritte, fotografò e catalogò i disegni, che definì “palinsesti del carcere”. Non riuscì tuttavia a interrompere i lavori di ampliamento. E così quella scoperta casuale cadde di nuovo nell’oblio.

Le stanze allora vennero adibite a uffici del tribunale, finché dopo la seconda guerra mondiale subirono una sorte ancora più indecorosa: accampando un diritto d’uso concesso da Charles Poletti, capo del governo militare alleato in Sicilia, il rigattiere Salvatore Di Falco, detto don Totò, prese possesso abusivamente dell’edificio. L’uomo occupò i luoghi fino alla sua morte, nel 2002, quando finalmente questi vennero restituiti all’università, divenuta proprietaria del palazzo. “L’edificio era pieno di ogni cianfrusaglia”, racconta Anello, che all’epoca lavorava proprio allo Steri. “Furono impiegati 51 tir per svuotarlo. C’era di tutto: carcasse d’auto, sedie, divise, mobili”.

Da allora è ricominciato il restauro e sono venute alla luce storie straordinarie. Il palazzo – dove è conservato anche il famoso dipinto Vucciria di Renato Guttuso – è visitabile ogni giorno da martedì a domenica. Le quattordici stanze sono completamente coperte di disegni che i prigionieri hanno composto scrostando il cotto dal pavimento e imbevendolo di saliva. Sembrano pitture rupestri, che raccontano il terrore dei detenuti reclusi in queste segrete.

Fra questi il più famoso è senz’altro Diego La Matina, il frate agostiniano che venne rinchiuso qui varie volte finché, nel 1657, riuscì a uccidere con le proprie mani durante un interrogatorio l’inquisitore Juan López de Cisneros. La vicenda è raccontata da Sciascia in Morte dell’inquisitore. Il frate venne arso vivo al piano di Sant’Erasmo, sul lungomare, mentre Cisneros è sepolto nella chiesa di Santa Maria degli Angeli, meglio conosciuta come “la Gancia”, a poca distanza dallo Steri. Oggi in restauro, l’edificio religioso è aperto solo la domenica per le funzioni.

Le mura dello Steri raccontano storie drammatiche senza parlare. Sono migliaia le persone passate dalle sue segrete e di queste almeno 284 furono condannate al rogo. Ma poi, si chiede Sciascia in una nota a margine del suo libro, “quanti sono stati gli inquisiti, i condannati a pene minori? E quanti fra loro i poeti, i filosofi, gli artisti?”.

Info
Dove mangiare

Bar del Corso
È un’istituzione: Baldo è il barista filosofo che non ama chiacchierare e offre un caffè imperdibile.
Via Vittorio Emanuele 93

Nni Franco u’ vastiddaru
Proprio di fronte a Baldo, Franco offre il miglior panino câ meusa (con la milza) di Palermo, oltre alle classiche panelle e crocché. Aperto fino a tarda notte.
Via Vittorio Emanuele 102

Cioccolateria Lorenzo
Questo bar cioccolateria sembra un cenacolo di scrittori e artisti. Caffè e dolciumi, soprattutto al cioccolato, da consumare al tavolino in un locale estremamente curato.
Via del Quattro aprile 7

Trattoria Bersagliere
Osteria alla buona a Ballarò che serve i principali piatti palermitani di carne e pesce. Porzioni abbondanti e prezzi molto contenuti.
Via San Nicolò all’Albergheria 38


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