Lisetta Carmi è una figura centrale nella storia della fotografia italiana, un’artista che, con discrezione, ha segnato una strada profonda, che a poco a poco è diventata difficile da ignorare. Sia a livello espressivo, con un lavoro che ha la stessa chiarezza e intensità di quello dei grandi e celebrati reporter della Magnum, sia per un profondo sentimento di empatia verso i propri soggetti. Una caratteristica, quest’ultima, che fa pensare, per esempio, alla successiva lezione di Nan Goldin, la cui celebre Ballad of sexual dependency è datata 1985, tredici anni dopo la serie di Carmi I travestiti, che all’inizio degli anni settanta ha rappresentato un primo e inedito sguardo su questa popolazione di invisibili, ignorata dall’Italia dell’epoca con determinazione e in molti casi con astio.

Ci sono anche queste immagini, alcune assolutamente indimenticabili e cariche di una forza che è tanto estetica quanto sociale e politica, nell’esposizione che ha inaugurato alle Gallerie d’Italia di Torino: Lisetta Carmi. Suonare forte. È curata da Giovanni Battista Martini, che è anche il curatore dell’archivio della fotografa, nata a Genova nel 1924 e morta il 5 luglio scorso, a 98 anni.

In mostra nel museo di Intesa Sanpaolo, che occupa uno storico palazzo della banca e che vuole essere un luogo di apertura alla città attraverso la piazza San Carlo, su cui si apre la grande scalinata progettata da Michele De Lucchi, sono presenti più di 150 fotografie scattate tra gli anni sessanta e settanta, che fanno parte dei suoi lavori più significativi: ci sono i travestiti, ma anche la serie del parto, gli scatti dedicati al mondo del lavoro in Italia e la famosa sequenza dell’incontro con il leggendario poeta americano Ezra Pound.

Ezra Pound, 1966. (Lisetta Carmi, Martini & Ronchetti)

Il museo accoglie la mostra di Carmi sfruttando le potenzialità dei propri spazi, una sorta di labirinto controllato nel quale funziona molto bene l’incontro tra le immagini e altri linguaggi espressivi, nel caso di questa esposizione la musica. Carmi, prima di diventare una fotografa, era stata infatti una pianista che nel 1960 non aveva avuto paura di scendere in piazza con i portuali genovesi per una manifestazione antifascista, e da quel giorno decise di lasciare la musica e dedicarsi alla fotografia. Oggi, nel museo torinese, alcuni brani di Luigi Nono e Luigi Dallapiccola accompagnano alcune sezioni dell’esposizione.

Prossimità

Proprio questa capacità, per così dire, mimetica degli spazi di palazzo Turinetti sembra essere la caratteristica più interessante del nuovo museo, inaugurato a maggio di quest’anno. Lo si era già potuto intuire con la mostra d’apertura, dedicata a Paolo Pellegrin e alla sua indagine sulla natura. La sensazione è che qui la fotografia abbia la possibilità di diventare qualcosa di più, anzi, che sia in qualche modo invitata a essere qualcosa di più, il che comporta una responsabilità e anche dei rischi a livello curatoriale, che finora però sono stati superati con una certa brillantezza, soprattutto attraverso un uso consapevole della multimedialità. Nel caso di Carmi, oltre che con la musica del novecento, anche grazie a dei filmati nei quali la stessa fotografa racconta i suoi lavori e a un video creato per l’occasione dalla regista e sceneggiatrice Alice Rohrwacher.

Che siano i lavoratori dell’Italsider o le donne della Sardegna, i fosfati del porto di Genova o le scene di vita quotidiana in Sicilia, i soggetti di Lisetta Carmi in qualche modo risentono dello sguardo antropologico della fotografa, che documenta la storia e la società italiana, in decenni di passaggio cruciali per la storia d’Italia, attraverso un’idea di prossimità che si percepisce perfino guardando la colossale malinconia degli occhi di Pound nel 1966.

Sugherificio, Calangianus, Sardegna, 1964. (Lisetta Carmi, Martini & Ronchetti)

Il metodo di Carmi è quello di vivere accanto alle persone che fotograferà, creando legami umani, di vicinanza e di complicità, che poi riesce a trasportare sulla pellicola, come una romanziera che si prende cura dei propri personaggi. È un discorso di comunità che va oltre la semplice documentazione – elemento peraltro decisivo nel lavoro della fotografa genovese – per sfociare in qualcosa che diventa testimonianza prima che reportage. Pur dando vita a grandi reportage.

Lisetta Carmi. Suonare forte è il primo appuntamento del progetto La grande fotografia italiana, curato da Roberto Koch, che si propone di “dare spazio ai maestri della fotografia italiana attraverso una serie di mostre monografiche”, che sono poi accompagnate da incontri ed eventi di approfondimento.

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