Illustrazione di Alice Iuri

All’ingresso del ristorante Luna e l’altra, nella Casa internazionale delle donne di Roma, Mauro Palma saluta una persona. I due chiacchierano, poi si augurano buona giornata e quando Palma torna mi chiede: “L’hai riconosciuto?”. Impresa complicata: l’uomo ha una parte del viso coperta da una mascherina e l’altra da un ciuffo di capelli grigi. “È Giorgio Parisi, il premio Nobel per la fisica”. Parisi entra nella sala principale con due persone, mentre Palma mi fa strada verso il gazebo in giardino. È il posto che il garante nazionale dei detenuti ha scelto per questo pranzo. “Un luogo speciale”, dice, “dove può capitare d’incontrare la femminista storica e il volontario di Regina Coeli, la giovane attivista e un premio Nobel”. Sorride, dice che conosce Parisi da tempo: “Io sono un matematico, ci lega il sapere scientifico, lui però ha fatto un po’ più di strada in quel campo”.

Palma, invece, ha preso un’altra strada. Dal 2016 è presidente del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà, un organismo indipendente che si occupa di carcere ma anche di centri per i migranti, trattamenti sanitari obbligatori (tso) e residenze per anziani. Oggi ha due lauree honoris causa in giurisprudenza ed è regolarmente invitato come giurista a tenere conferenze e lezioni in università in giro per il mondo. La matematica però è rimasta un basso continuo della sua vita: “Le galere sono piene di orrori, i numeri mi aiutano a portare il pensiero altrove”. E non sono solo una distrazione: Palma si è laureato con una tesi sulla formalizzazione del linguaggio e con Walter Maraschini ha scritto un manuale di matematica che ha venduto un milione di copie. “Criticavamo il modo in cui era insegnata nei licei”, dice dopo aver ordinato delle polpette vegetali. “Quel testo è stato un po’ il leader della minoranza nelle discussioni di quegli anni sulla matematica”.

Cambio di passo

Nonostante il successo del libro, Palma era combattuto. Classe 1948, capelli grigi, abito blu e camicia a righe bianche e azzurre, dice che non è stato facile decidere quale strada seguire: “Negli anni settanta facevo una ricerca sui frattali, anche se ancora non si chiamavano così, mentre intorno a me il mondo bruciava”. A Roma partecipa alle manifestazioni, dipinge e frequenta la libera scuola del nudo all’Accademia delle belle arti, studia il cinese perché “affascinato dall’idea di una lingua non fonetica”. Ma soprattutto si avvicina al gruppo del manifesto, a Rossana Rossanda e Luciana Castellina, e comincia a scrivere di carcere.

La galera non entra nella sua vita come conseguenza dell’impegno politico, ma con uno strappo: “Una mia amica fu uccisa dall’ex fidanzato poco dopo essere stata a casa mia. L’assassino scrisse una lettera a noi amici cercando un confronto. La cosa ci sconvolse, ma accettai di vederlo andando a Regina Coeli, a due passi da qui. Fu quella la prima volta che misi piede in una prigione”.

Lì Palma capisce subito che il carcere “non fa altro che moltiplicare il male, perché non ci sono progetti, responsabilizzazione delle persone, alternative alle gabbie”. Parallelamente alle udienze per l’omicidio dell’amica, segue i processi politici degli anni settanta e con altri del manifesto partecipa al dibattito su una soluzione politica alla lotta armata.

Quando quell’esperienza si esaurisce, ciascuno prende la sua strada, ma Palma continua a occuparsi di giustizia e carcere, fondando negli anni ottanta la rivista Antigone, che poi diventerà anche un’associazione. “Nel decennio successivo ci fu un cambio di passo fondamentale: per la prima volta a noi di Antigone fu consentito di entrare nelle carceri di tutta Italia come osservatori”. E così Palma e la sua squadra seguono dal vivo la crescita mostruosa del numero dei detenuti, che passano da 24mila nel 1990 a 53mila nel 2000, fino a 67mila nel 2010.

“Cifre impressionanti, dovute in parte alla legge sulle droghe approvata proprio nel 1990, ma anche allo smantellamento dello stato sociale e all’affermazione del decoro come strumento per criminalizzare e punire chi non rientra nei ranghi ed è percepito come una minaccia, dai poveri ai tossicodipendenti”.

In gabbia

Oggi, ricorda Palma, le persone in cella perché condannate a pene inferiori a un anno sono 1.180. Quelle che devono scontare uno o due anni sono duemila. Tra loro ci sono molti senzatetto, stranieri, autori di reati di poco conto. “Davvero pensiamo che siano una minaccia per la società? Quelli dietro le sbarre per crimini gravi o associativi sono circa 13mila su 53mila. Il resto sono percorsi che non hanno trovato risposte nel territorio e sono finiti in cella”. Il carcere è la risposta a tutto: alla malattia psichiatrica, alla dipendenza da alcol o droghe, alla povertà. E quando le sbarre non bastano, si usa la violenza. “Negli anni duemila, prima come membro e poi come presidente, sono stato al Comitato europeo per la prevenzione della tortura”, dice Palma. “Ho visto i segni della tortura nelle stazioni di polizia in Cecenia, nei campi profughi in Kosovo, nei luoghi per gli interrogatori in Macedonia. Ho imparato a dare un peso a questa parola e a riconoscere violenze diverse”.

Secondo Palma c’è un filo rosso che ne lega alcune: “I pestaggi, le umiliazioni e la crudeltà nella caserma Bolzaneto durante il G8 di Genova nel 2001 e nel carcere di Santa Maria Capua Vetere nel 2020 sono gli strumenti di una violenza di branco, territoriale, che esplode perché l’altro è visto non come una persona che ha commesso un reato, ammesso che l’abbia commesso, ma come un nemico, una minaccia alla propria autorità e perfino alla propria esistenza. Impedire tutto questo non è semplice. Ma se non immaginiamo alternative al carcere, se le gabbie sono l’unica risposta, impedirlo diventa impossibile”.

I due uomini della scorta di Palma, che da anni è sotto tutela, gli fanno capire che si è fatto tardi.

Sono le due e mezza e il garante ha un incontro in senato. Un altro appuntamento per parlare di gabbie e libertà calpestate. Solo a sera ci sarà di nuovo un po’ di tempo per la matematica.

Il conto

Ristorante Luna e l’altra
Via di S. Francesco di Sales 1A, Roma

1 Zuppa di patate e verza con cuore di carote €7,00
1 Polpette vegetariane con scarola €10,00
Acqua €3,00

Totale €20,00


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