Se il 12 giugno sarà approvato il referendum sulla giustizia proposto da Lega e Radicali per limitare l’applicazione delle misure cautelari, diventerà molto difficile, se non impossibile, intervenire contro i reati di violenza di genere.

Il quesito referendario si occupa dell’articolo 274 del codice di procedura penale con l’obiettivo di eliminare dai casi previsti per l’applicazione delle misure cautelari il pericolo di reiterazione dello stesso reato. La violenza di genere ha radici culturali profonde, e per questo ha come caratteristica intrinseca la reiterazione. “Coloro che agiscono violenza contro le donne tendono ad atti aggressivi sempre più gravi e, in assenza di un intervento, recidivano nell’85 per cento dei casi”, dice la relazione dello scorso febbraio della commissione d’inchiesta sul femminicidio del senato.

Nella giurisprudenza sui casi di violenza di genere, il pericolo di reiterazione è la fattispecie a cui si fa riferimento nella quasi totalità dei casi per applicare le misure cautelari che, va ricordato, non comprendono solo la custodia in carcere ma anche l’allontanamento dalla casa familiare o il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa.

Il nodo della reiterazione

Abrogata la reiterazione, i casi per applicare le misure cautelari resterebbero il pericolo di fuga, quello di inquinamento delle prove o il concreto e attuale pericolo che la persona commetta delitti contro l’ordine costituzionale, delitti di criminalità organizzata o “gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale”. La violenza di genere non rappresenta un delitto contro l’ordine costituzionale, non rientra nella criminalità organizzata, l’autore non ha prove da inquinare e spesso non scappa, anzi. Lo spazio che resterebbe sarebbe dunque quello dei casi di violenza commessa con uso di armi o “di altri mezzi di violenza personale”.

Nella maggior parte degli episodi, però, oltre il 95 per cento dice l’Istat, la violenza di genere viene commessa senza uso di armi. E quando quella violenza verrà commessa usando una ciabatta, lanciando un piatto o, come più spesso accade, a mani nude, quella ciabatta, quel piatto e quelle mani saranno considerate oppure no un “altro mezzo”? Forse sì e forse no. A quel punto, la decisione dipenderebbe solo dalla valutazione interpretativa di ogni singolo giudice, tenendo conto del fatto che sulla questione degli “altri mezzi” non esiste una giurisprudenza a cui fare riferimento, e del fatto che la situazione all’interno di procure e tribunali è problematica.

Il sì al quesito sulle misure cautelari renderà difficile tutelare le vittime di violenza di genere

Nel rapporto del senato di giugno 2021 su violenza di genere nella realtà giudiziaria si dice che tra i pubblici ministeri (coloro che fanno richiesta delle misure cautelari) “emerge un’insufficiente consapevolezza della complessità della materia” e delle dinamiche della violenza di genere, con conseguenze negative su efficienza, tempestività e effettività dell’intervento giudiziario. Tra i giudici (coloro che decidono per le misure cautelari) la situazione è ancora più critica.

Non è finita qui. Una volta lasciato un margine di incertezza enorme per i casi in cui questi reati vengono commessi con violenza fisica, è certo che se il referendum passasse resterebbero escluse dall’applicazione delle misure cautelari tutte quelle violenze di genere che vengono commesse in altro modo, e che sono anche la maggior parte: le violenze psicologiche o economiche, i maltrattamenti in famiglia con minacce o gli atti persecutori come lo stalking, ad esempio.

Infine, con l’approvazione del referendum si romperebbe un equilibrio. Verrebbe cioè a mancare la corrispondenza tra una serie di norme all’interno del codice di procedura penale. Un solo esempio: l’articolo 384 bis fa riferimento alla misura precautelare dell’allontanamento urgente dalla casa familiare. Dice che, previa autorizzazione, l’allontanamento può essere disposto dalla polizia giudiziaria nei confronti di chi è colto in flagranza di una serie di reati (come le minacce o i maltrattamenti contro familiari e conviventi) e se ci sono fondati motivi per ritenere che quelle stesse condotte criminose possano ripetersi, mettendo in pericolo l’integrità fisica o psicologica della vittima. Dopodiché, entro le 24 ore, deve essere il pubblico ministero a chiedere al giudice la conferma di quella misura provvisoria, con l’applicazione della misura cautelare vera e propria.

Come spiega l’avvocato penalista Carlo Blengino, “se passasse il referendum ci si troverebbe in una situazione paradossale: la reiterazione resterebbe un motivo legittimo per l’allontanamento urgente e temporaneo, ma il pubblico ministero e il giudice potrebbero non avere più gli strumenti per applicare la misura cautelare nei casi in cui nella commissione del reato non vengano utilizzate armi o altri mezzi di violenza personale”.

Il rischio di arrivare tardi

Paola Di Nicola Travaglini, in magistratura dal 1994, giudice della corte di cassazione, esperta di violenza di genere, dice che “prevedere l’abrogazione di quella parte della norma determinerà un vero e proprio pericolo per le donne vittime di violenza. Se il giudice non potrà più utilizzare il criterio della reiterazione, le misure cautelari non saranno quasi più applicabili e coloro che sono oggi in misura cautelare per pericolo di reiterazione saranno liberati.

Potremmo dunque avere le migliori leggi del mondo di contrasto alla violenza di genere, ma si tratterà di leggi che interverranno troppo tardi: perché il rischio delle donne è nell’immediato e può essere arginato esclusivamente con le misure cautelari”.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it