Non c’è niente di lineare nel modo in cui i Verdena fanno musica. Lo si capisce leggendo i testi un po’ ermetici delle loro canzoni, perdendosi nei repentini cambi di ritmo e atmosfera creati dai loro strumenti, che incastrano il rock dentro il pop. E lo si sperimenta sulla propria pelle intervistandoli.

Non è facile stargli dietro: tirano fuori pensieri in modo caotico, si parlano sopra, a volte stanno in silenzio guardando nel vuoto. Danno risposte enigmatiche, come se volessero tenere nascosto il collante che li tiene insieme da quasi trent’anni. A volte sono grotteschi, altre spassosi. Se il giornalismo musicale italiano avesse mai bisogno d’inventare nuove categorie, “interviste ai Verdena” potrebbe essere una di queste.

Già l’inizio è tutto un programma: quando la band compare su Zoom, in collegamento dagli uffici della Universal a Milano, i fratelli Ferrari, Alberto (voce e chitarra) e Luca (batteria), e Roberta Sammarelli (basso) sono tre figure mute. L’audio non funziona. L’ufficio stampa mi telefona e metto il vivavoce, parlando con loro attraverso il telefono mentre guardo lo schermo. Alberto, con i soliti capelli arruffati e il pizzetto, ruba gli occhiali da sole a Roberta, come un fratello che fa un dispetto alla sorella maggiore. Spesso, dopo che ha finito di rispondere, aggiunge una o due frasi incomprensibili. Ride, si gira verso gli altri, chiede scusa.

L’occasione per parlare è l’uscita del loro nuovo album della band, Volevo magia, che arriva a sette anni di distanza dal doppio Endkadenz (se non si conta la parentesi della colonna sonora del film America latina dei fratelli D’Innocenzo). Un’era geologica per i ritmi della discografia contemporanea.

I brani più intimi del nuovo album sono quelli più riusciti

Eppure per la band il tempo sembra non essere passato. I Verdena sono tranquilli, quasi distaccati. Anche i nuovi brani, a un primo ascolto, sembrano la naturale continuazione dei loro ultimi lavori, Wow ed Endkadenz, e contiene tutte le stranezze che ti aspetti da loro, tra atmosfere sospese e versi come “Certi magazine che sono compagni tuoi”, capaci di far deragliare il senso comune. “In realtà questo è il disco più allegro della nostra carriera. È abbastanza su di toni. Cioè, sì, è malinconico ma con un lieto fine”, dice Alberto, leader indiscusso e spesso enigmatico del gruppo di Albino, piccolo paese in provincia di Bergamo.

Il brano più triste dell’album, Nei rami, e forse il più bello, arriva alla fine. “Quel pezzo fa piangere”, commenta Alberto, che però, come sempre, non vuole spiegare il significato del testo. “Sembra che ci siano degli archi, vero? E invece ho fatto tutto con l’iPad. Del resto Damon Albarn ci ha fatto un disco intero dei Gorillaz con l’iPad. Che fighi, i Gorillaz”.

In generale i brani più intimisti di Volevo magia sono quelli più riusciti, come Sui ghiacciai, una canzone d’amore alla Verdena nella quale Alberto canta “Collaudami e accettami”, con un tono toccante e romantico. In Cielo super acceso, un altro pezzo che sembra parlare di una relazione tra due persone, invece recita: “Ho un sacco d’amore se vuoi”. Ma, come spesso succede con la band, il disco non ha un tema preciso, veleggia da qualche parte tra il significante e il significato.

Sui ghiacciai e il singolo Chaise longue sono i primi pezzi composti per il disco. Alberto ha registrato le demo a casa da solo e poi li abbiamo finiti insieme in sala prove. Era già capitato in passato di usare questo metodo, ma stavolta l’abbiamo fatto ancora di più: anche altri brani, come Dialobik, sono nati così, in due fasi. È stato interessante”, spiega Luca.

Colpa anche della pandemia che, complice la rottura di un registratore analogico in studio, ha costretto la band a interrompere le registrazioni e a finire tutto in digitale. “Forse senza tutto questo il disco sarebbe uscito tre anni fa, ma sarebbe stato completamente diverso. Le canzoni venute fuori dopo il covid sono le più veloci”, aggiunge Roberta.

Cos’ha ascoltato il gruppo mentre registrava Volevo magia? I tre si fermano, in silenzio per diversi secondi, e si guardano. Alla fine, come succede spesso durante l’intervista, parla Alberto: “Boh, non è facile dirlo. Il nostro principale punto di riferimento saranno sempre i Beatles, anche se il ritornello di Paul e Linda mi fa pensare a David Bowie. Che bello Get back, il documentario di Peter Jackson sulle registrazioni di Let it be. L’ho visto già un sacco di volte, appena ho un po’ di tempo libero me lo riguardo. Mi ritrovo molto nel loro modo di essere tranquilli e normali, come del resto dovrebbe essere ogni gruppo. Una roba che non esiste più dagli anni settanta, in realtà. Forse l’altro gruppo normale di quelli super famosi sono stati i Nirvana, erano veri”.

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Qualche anno fa il direttore artistico Mauro Pagani aveva invitato i Verdena a Sanremo, e la band, dopo averci pensato un po’, decise di non andarci. Ma se venissero invitati di nuovo, cosa farebbero? All’inizio risponde Luca: “Se avessimo il pezzo giusto nel momento in cui ce lo chiedono potremmo anche valutare. Ma dovremmo essere sicuri che quello è proprio il brano giusto, e dovrebbe davvero bello”. E poi chiosa Alberto: “Bona, puoi chiuderla qua, perché tanto non saremo mai sicuri. È impossibile, dai. Forse potremmo scrivere una canzone e farla suonare dall’orchestra da Sanremo. Noi la dirigiamo da casa”.

A fine ottobre porteranno Volevo magia in tour in nove città italiane. In questi giorni stanno lavorando alla scaletta. “Faremo undici o dodici brani del disco nuovo e almeno uno o due pezzi per ciascuno degli altri. Non è facile scegliere cosa suonare, perché la nostra carriera ormai è lunghetta. Ci esibiremo in posti non troppo grandi per una nostra scelta, niente palazzetti. E forse all’inizio del 2023 faremo qualche data in Europa. Dovremmo essere solo noi tre sul palco, non abbiamo ancora deciso se includere un quarto. Non è che per caso suoni qualcosa?”, racconta Roberta.

“E poi se facessimo solo i palazzetti faremmo meno tappe, invece con dieci dodici date ci giriamo per bene l’Italia e magari qualcuna bella ne viene fuori. I palazzetti li fanno quegli altri di Bergamo”, aggiunge Alberto, riferendosi ai Pinguini Tattici Nucleari. “Piacciono un sacco a mia figlia”, chiude Roberta, che comincia a cantare Pastello bianco, mentre Alberto fa finta di suonare la batteria.

Negli ultimi sette anni la musica del nostro paese è cambiata molto. Il dominio dello streaming e l’ascesa della trap ha dato una scossa alle classifiche, mentre nella scena alternativa sono successe come Ira di Iosonouncane, un disco cantato in una lingua mista che comprende inglese, arabo, francese, spagnolo e tedesco e che ha conquistato la critica (“Iosonouncane ha fatto un disco da pazzo, strano, ma strano è bello per me”, commenta Alberto).

I Verdena invece cosa rappresentano oggi? I tre si guardano e poi, a turno, parlandosi sopra come al solito dicono tutti la stessa parola: “Outsider”. E, come al solito, la chiosa tocca ad Alberto, che con falsa modestia sentenzia: “Non siamo più i capi come prima”. E non capisci se dice sul serio, se ti prende in giro o se, nel frattempo, ha già cambiato idea.

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