Sulla cartina ne sono segnate 57, ma alla fine ne rimarrà soltanto una. Sono le aree idonee a ospitare il deposito nazionale di scorie nucleari. Le ha scelte la Sogin, la società pubblica nata per smantellare e mettere in sicurezza il nucleare italiano dopo i referendum del 1987 e del 2011. La versione definitiva della Carta nazionale delle aree idonee (Cnai) deve ancora essere approvata, ma intanto L’Essenziale è in grado di pubblicare la bozza inviata a marzo dalla Sogin al ministero della transizione ecologica. Nella versione precedente, la Cnapi (Carta delle aree potenzialmente idonee), i siti indicati erano 67. Nel nuovo documento sono 57, sparsi in 5 regioni.

Neanche uno

In una di queste potrebbe sorgere il deposito nazionale, che dovrebbe entrare in funzione entro il 2029. Il progetto della Sogin disegna una struttura di 150 ettari: 40 per un parco tecnologico e 110 dedicati al deposito vero e proprio. In realtà al suo interno i depositi sono due, uno per i rifiuti a bassa radioattività e uno per quelli a media e alta attività, entrambi grandi come 15 campi da calcio.

La struttura del deposito è simile a una matrioska. Nello strato più interno vanno i manufatti, cioè i contenitori metallici riempiti di scorie radioattive. Questi vengono avvolti in grandi sarcofagi di calcestruzzo, detti moduli, che a loro volta sono protetti da un’ulteriore armatura di calcestruzzo armato, la cella, e da una collina artificiale di materiali impermeabili. In totale, il deposito dovrebbe ospitare circa 78mila tonnellate di rifiuti radioattivi a bassa attività.

Le 17mila tonnellate di scorie più radioattive, invece, saranno stipate in una struttura temporanea, il Complesso stoccaggio alta attività (Csa): “Ma quando parlano di temporaneo intendono cent’anni, sperando di trovare nel frattempo un deposito permanente adatto per questo tipo di rifiuti. Peccato che in tutto il mondo non ne esista neanche uno”, dice Angelo Di Giorgio, vicepresidente di Montalto Futura, uno dei comitati laziali che si oppongono alla costruzione del deposito.

L’investimento complessivo sarebbe di 900 milioni di euro, che si andrebbero ad aggiungere ai 3,7 miliardi già spesi dalla Sogin negli ultimi vent’anni per completare appena il 35,5 per dello smantellamento del nucleare italiano.

Montalto di Castro, Viterbo, 5 ottobre 2022. (Gabriele D'Angelo)

Delle 57 aree segnate nella Cnai, 22 si trovano nel Lazio, 10 in Sardegna, 17 in Basilicata, 6 in Piemonte, 2 in Sicilia e una in Puglia. Dieci sono cerchiate in verde scuro, il colore della categoria A1, che indica le aree “continentali molto buone”, divise equamente tra Piemonte e Lazio. Sono i siti che la Sogin ritiene più promettenti.

Uno di questi è il Vt-08, 296 ettari nelle verdi campagne di Montalto di Castro, nel viterbese. Qui Luca e Paola Mariotti hanno un’azienda agricola che produce eccellenze esportate in tutto il mondo come l’olio d’oliva di Canino. Secondo loro il deposito di scorie darebbe il colpo di grazia a un territorio già deturpato: “In questa zona abbiamo concentrazioni altissime di gas cancerogeni come il radon, abbiamo la centrale a carbone di Civitavecchia, l’ex impianto elettronucleare di Montalto, uno dei più alti tassi di incidenza in Italia per diversi tumori. Come fanno a non tenerne conto? È una follia”.

Il deposito nazionale potrebbe avere forti ripercussioni anche sui flussi turistici: “Se fai turismo come fai ad avere un sarcofago simile nella tua terra? Sarebbe la morte dei sardi e della Sardegna”, dice il coordinatore del comitato No nucle - No scorie, Marco Mameli.

Il deposito, insomma, non lo vuole nessuno, tranne il sindaco di un piccolo comune piemontese. Daniele Pane è il primo cittadino di Trino, settemila anime in provincia di Vercelli: “L’80 per cento della radioattività italiana sta in Piemonte, tra Trino e Saluggia. Il deposito mi consentirebbe di mettere queste scorie in sicurezza, visto che ora sono stoccate in depositi temporanei molto meno sicuri. Se nessuno lo vuole, noi siamo disponibili”.

Così com’è

L’offerta di Pane è stata ignorata, così come le centinaia di osservazioni ricevute dalla Sogin durante la fase di consultazione pubblica con associazioni, comitati ed enti locali: “Il seminario è stato una farsa totale gestita autarchicamente da Sogin, che è stata giudice di se stessa. Se non ci spiegano i motivi per cui non hanno accettato le nostre critiche allora il seminario che l’hanno fatto a fare?”, chiede Di Giorgio.

Durante la campagna elettorale sul deposito nazionale è calato il silenzio. L’Essenziale ha provato più volte a contattare la Sogin e il ministero della transizione ecologica, ma non ha ricevuto alcuna risposta: “Tu fai il tuo mestiere, io faccio il mio. Sono documenti secretati”, spiegano dall’ufficio stampa dell’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare (Isin), che tra qualche giorno consegnerà al ministero il suo parere sulla proposta di Carta nazionale delle aree idonee ricevuta dalla Sogin.

A quel punto il ministero della transizione ecologica, di concerto con il ministero delle infrastrutture e dei trasporti, dovrà approvare la versione definitiva della Cnai. Poi si aprirà una nuova fase di consultazioni con regioni ed enti locali, che dovranno manifestare un interesse che finora non c’è mai stato. Secondo Pane l’epilogo è già scritto: “Resterà tutto così com’è. La legge dice che senza manifestazioni di interesse il governo può fare un decreto d’imperio. Ma devo ancora trovarlo il politico che si prende una responsabilità del genere. E poi lo sa come si dice: in Italia nulla è più definitivo di ciò che è temporaneo”.

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