La fine dell’anno è una tappa importante del calendario del piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), cioè la proposta presentata dall’Italia all’Unione europea per spendere i fondi gestiti tramite il fondo Next generation Eu, chiamato anche Recovery fund, attivato per sostenere l’economia europea dopo la crisi provocata dalla pandemia.

A dicembre si chiude infatti il quarto trimestre ed è il momento in cui il governo può chiedere all’Unione europea un nuovo rilascio di fondi, che sono erogati ogni sei mesi solo se sono stati raggiunti gli obiettivi intermedi previsti, fino a un totale di 191,5 miliardi di euro entro il 2026, la cifra più alta ottenuta da uno stato membro.

Ma i dati per verificare che tutto sta andando come previsto non ci sono, come denunciano le organizzazioni della campagna Dati bene comune, che fin dalla presentazione del piano alla Commissione europea, quasi due anni fa, chiedono la massima trasparenza sulla gestione dei fondi e dei progetti. Il 30 novembre le organizzazioni hanno inviato una lettera al governo guidato da Giorgia Meloni per chiedere il rispetto degli impegni presi in termini di trasparenza e monitoraggio dell’attuazione del piano, fino a oggi tema poco dibattuto anche in sede pubblica e del tutto assente dall’evento annuale organizzato congiuntamente dalle autorità italiane e dalla Commissione europea che si è tenuto 2 dicembre 2022.

In realtà i problemi di scarsa trasparenza legati al Pnrr sono emersi fin da subito, già con il governo Draghi, quando le associazioni avevano denunciato l’impossibilità di accedere ai documenti presentati a Bruxelles dall’ex presidente del consiglio nell’aprile del 2021 con le ultime proposte aggiornate per la commissione europea.

I dati che ci sono oggi

La legge di bilancio del 2021 in realtà obbligherebbe il governo a pubblicare i dati di attuazione finanziaria, fisica e procedurale relativi a ciascun progetto, ma questo non è mai avvenuto in modo puntuale.

Oggi il luogo dove andare a cercare i dati disponibili è un portale chiamato Italia domani, andato online il 3 agosto 2021 senza una reale pubblicazione di dati in formato aperto, con poche informazioni aggiuntive rispetto al documento di presentazione del piano già disponibile sul sito del governo, e con una licenza di copyright restrittiva di riutilizzo dei contenuti, contrastante con le caratteristiche dei dati pubblici e aperti che dovrebbero garantire trasparenza e accesso alle informazioni per i cittadini e le cittadine.

Non esiste un luogo unico e aperto in cui reperire e consultare le schede di questi progetti

Nell’ottobre 2021 erano comparsi per la prima volta dei documenti nella pagina “dati aperti”, come richiesto dalla società civile, ma le organizzazioni avevano denunciato che si trattava di versioni non utilizzabili, perché mancava ancora una volta una licenza che lo consentisse, e in più si trattava di semplici fogli elettronici rinominati in un formato riutilizzabile, ma poi caricati sul sito senza cura della forma, con righe lasciate vuote, colonne senza valori e informazioni testuali presenti dentro parti del documento che avrebbero dovuto essere dedicate solamente ai dati.

Oggi, alla soglia della richiesta dell’Italia di una terza tranche di investimenti, la licenza di utilizzo è stata aggiornata, ma sul portale sono presenti solo circa cinquemila dei 73mila progetti presentati (infatti l’ultimo documento caricato al riguardo risale al 2021), e altre informazioni di maggiore dettaglio sono aggiornate all’agosto 2022 ma solo riguardo a quattro procedure di gara per un valore complessivo di circa un miliardo di euro, mentre il valore dei progetti in corso secondo la relazione presentata dal governo Draghi al parlamento ai primi di ottobre è di 65 miliardi.

Non esiste quindi un luogo accessibile in cui reperire e consultare le schede di questi progetti, anche per verificare l’impatto sull’ambiente e il rispetto delle “priorità trasversali” previste dal piano per “ridurre i divari territoriali, generazionali e di genere presenti nel paese”, come scritto sul sito del piano.

Chi deve raccogliere i dati

Secondo quanto stabilito dal decreto del 15 settembre 2021 è la ragioneria generale dello stato ad avere compito di monitorare i dati caricati dalle “amministrazioni centrali titolari” (i ministeri) e dai soggetti attuatori (come le regioni, i comuni, le città e altri enti pubblici responsabili di attuare i progetti) e di renderli accessibili a tutti, con la responsabilità della verifica e della completezza dei dati trasmessi. I dati devono essere inseriti direttamente dai “soggetti titolari degli interventi” con cadenza mensile.

“Sembrava che il problema fosse di natura tecnica all’inizio, e in qualche maniera ne abbiamo avuto una conferma nell’ultima relazione al parlamento, dove è scritto nero su bianco che la piattaforma Regis, quella destinata a raccogliere i dati di monitoraggio, è stata sì realizzata, le informazioni sono state caricate in parte, ma non sono elaborate e messe a disposizione, perché soggette a verifiche, e i dati non risultano affidabili”, spiega Vittorio Alvino, presidente della fondazione Openpolis, tra i soggetti promotori della campagna.

È anche il governo a non disporre del quadro complessivo di ciò che sta accadendo

La situazione che emerge ripercorrendo la storia del portale e dei dati pubblicati è che non si tratta più solo di una questione di mancata trasparenza, cioè di decisioni prese dal governo di non comunicare con tempestività i dati disponibili al pubblico, ma di mancata gestione di questo flusso di informazioni.

“Il punto è la capacità amministrativa di sostenere il processo”, sostiene Alvino, e sembra che il governo attuale non abbia espresso nessuna posizione al riguardo. “Non solo gli osservatori esterni all’amministrazione, come la società civile, il mondo produttivo e sindacale, chi fa ricerca, non dispone di informazioni basilari su come stiamo spendendo i fondi, ma se questa è la gestione dei dati è lo stesso governo che non dispone delle informazioni per avere il quadro complessivo di ciò che sta accadendo. Nel momento in cui si discute della transizione tra governi, e della gestione dei ritardi, la discussione avviene senza dati e informazioni”.

Per facilitare il monitoraggio dei dati e dell’avanzamento della spesa pubblica sia Openpolis sia l’organizzazione Action Aid, che fa parte della campagna Dati bene comune, avevano previsto degli osservatori a disposizione della società civile, OpenPnrr e Osservatorio civico Pnrr, che però sono bloccati dalla mancanza di dati disponibili su cui basare il monitoraggio.

Sono stati creati con lo stesso principio di Monithon, iniziativa indipendente nata nel 2013 per il monitoraggio civico delle politiche pubbliche in Italia e in Europa, basato sui fondi di coesione europei, dove invece la trasparenza era stata garantita tramite la raccolta dati del portale OpenCoesione. Perché questa differenza? “Ciò che emerge dalla mancata trasparenza del Pnrr è l’inadeguatezza del sistema amministrativo a gestire sia processi ordinari sia straordinari, processi di gestione, monitoraggio, rendicontazione”, continua ancora Alvino.

“A quasi due anni dall’avvio, le risorse a disposizione sono inadeguate”, conferma Alberto Pampalone, responsabile dell’Osservatorio per Action Aid. “Al momento possiamo contare solo sui dati messi a disposizione degli enti che contattiamo singolarmente, come il comune di Bologna, dove abbiamo tenuto la prima scuola di monitoraggio”.

Per ottenere la nuova tranche di fondi l’Italia deve dimostrare di aver già portato avanti le riforme previste e raggiunto gli obiettivi di progetto. Le riforme “sono abbastanza semplici” da sviluppare, dice Pampalone, perché si tratta di leggi e regolamenti che possono essere approvati dal governo o dal parlamento, mentre “dal 2023 gli obiettivi target sono quantitativi e riguardano investimenti, bandi da realizzare, progetti da attuare, chilometri di ferrovie da realizzare, scuole da ristrutturare”, e quindi richiedono più capacità di spesa e di attuazione.

Declan Costello, vicedirettore della direzione generale affari economici e finanziari della Commissione europea, all’evento del 2 dicembre ha confermato che al piano potranno essere fatti aggiustamenti per l’inflazione, ma che la scadenza del 2026 è confermata e gli impegni devono essere portati avanti entro quella data.

Osservando la situazione attuale non sembra che siano state messe in atto strategie nuove rispetto al governo precedente perché la macchina proceda in modo più efficiente. E non abbiamo nemmeno i dati per capire quanti soldi siano stati effettivamente già spesi, quali progetti devono ancora partire e dove intervenire per migliorare il processo. Procediamo nel buio e rischiamo di farlo fino al 2026.

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