Autoritratti, 2019. (Foto di Stefania Mattioli)

Il 10 per cento dei bambini e delle bambine italiane è obeso e rischia di subirne gli effetti negativi in età adulta. Nell’immediato hanno una maggiore probabilità di sviluppare forme gravi di covid-19. Annamaria Staiano, vicepresidente della Società italiana di pediatria, spiega che “nei bambini obesi questo rischio è quasi tre volte più alto rispetto a quello dei bambini che non presentano altre malattie”. Staiano cita alcuni tra i numerosi studi pubblicati sul tema.

“Un’indagine multicentrica condotta su 281 bambini ricoverati per infezione da sars-cov-2 ha evidenziato che anche in età pediatrica l’obesità comporta maggiori possibilità di avere problemi respiratori”. Non solo: “Una meta analisi condotta su 285mila casi di pazienti pediatrici con infezione da sars-cov-2 ha mostrato che i casi gravi di covid-19 o il ricovero in terapia intensiva si sono verificati in circa il 5 per cento dei bambini che avevano già altre malattie e solo nello 0,2 per cento di quelli che non ne avevano”.

Un altro studio, condotto su 795 bambini statunitensi ricoverati per covid tra marzo 2020 e gennaio 2021, ha evidenziato che quelli obesi sviluppano più spesso la sindrome infiammatoria multisistemica, nota come Mis-C, (35,7 per cento dei casi contro il 28,1 dei normopeso), manifestano più spesso una forma grave della malattia (30,3 per cento contro il 18,3), hanno più bisogno della terapia intensiva (57 per cento contro il 44) e, in generale, richiedono ricoveri ospedalieri lunghi.

La Mis-C è una delle conseguenze peggiori del covid in età pediatrica. È una risposta iperinfiammatoria scatenata dal contatto con alcuni virus, come il sars-cov-2 responsabile del covid. I bambini colpiti, di un’età media di circa otto anni, hanno febbre prolungata e sintomi infiammatori come alterazioni cutanee, mucositi e congiuntiviti. Staiano precisa che generalmente il quadro clinico è grave e che “purtroppo il 70 per cento dei bambini affetti da Mis-C può aver bisogno di un ricovero in terapia intensiva, perché le manifestazioni cliniche possono interessare organi come il cervello, il cuore e l’apparato respiratorio”.

L’indice della salute

Da tempo l’obesità è considerata sia una patologia a sé, sia una condizione riconducibile a vari fattori che aumenta la probabilità di sviluppare altre malattie croniche. La pandemia lo ha reso ancora più evidente.

“Non solo l’obesità, anche il sovrappeso è un indicatore importante di salute”. A parlare è Laura Reali, pediatra di famiglia a Roma, referente per la formazione dell’Associazione culturale pediatri (Acp). Per lei, “tra i bambini in sovrappeso il rischio di manifestare problemi è solo leggermente inferiore a quello degli obesi, con l’aggravante che sia il bambino sia i genitori possono non rendersi conto del rischio e con il tempo la situazione può peggiorare, aumentando il rischio di obesità in età adulta”.

Ogni due o tre anni l’Istituto superiore di sanità (Iss) fotografa lo stato di salute dei bambini e degli adolescenti italiani. Leggendo i dati alla luce delle considerazioni della dottoressa Reali, il problema dell’eccesso ponderale, che comprende sovrappeso e obesità, riguarda una percentuale di bambine e bambini ben più alta del 10 percento. Secondo l’ultima indagine, condotta nel 2019, il 30 per cento dei partecipanti tra gli 8 e i 9 anni è in eccesso ponderale. La situazione migliora, anche se poco, tra gli adolescenti. L’ultima indagine dell’Iss, del 2018, mostra che sovrappeso e obesità riguardano il 20,4 per cento degli undicenni, il 19,9 per cento dei tredicenni e il 19,1 per cento dei quindicenni. Tra questi, i ragazzi e le ragazze con obesità sono rispettivamente il 3,6 per cento, il 2,8 per cento e il 3,3 per cento.

Il parametro che i medici usano per valutare l’eccesso ponderale è l’indice di massa corporea (Imc, dall’inglese body mass index), un numero che si ottiene dividendo il peso di una persona, espresso in chilogrammi, per il quadrato della sua altezza, espressa in metri. Più l’indice è alto, più si tende al sovrappeso e all’obesità.

Consapevolezza

“L’obesità, anche quella infantile, non ha un’unica causa ma dipende da numerosi fattori, alcuni genetici, altri ambientali”. Per Reali il problema non è mai solo che un bambino mangia troppo e non si muove. Spesso ha radici profonde, che possono arrivare fino alla vita intrauterina, e chiama in causa tutte le figure familiari di riferimento. Per esempio, “l’obesità della madre e una scarsa attività fisica durante la gravidanza sono fattori che concorrono ad aumentare il rischio che il bambino diventi obeso e che abbia competenze neuromotorie peggiori”.

Eppure, troppo spesso i futuri genitori non ricevono informazioni adeguate in proposito. “È difficile generalizzare le cause del sovrappeso e dell’obesità, ma quello che è certo è che senza dei genitori consapevoli il problema può solo peggiorare”. E la consapevolezza non s’inventa dal nulla. “Sarebbe importante che i genitori sentissero parlare delle buone pratiche, oltre che della corretta alimentazione, già durante i corsi preparto, per prepararli a vivere al meglio le esperienze future”.

Ma non succede quasi mai. Anche i pediatri, che dopo la nascita diventano il riferimento per la salute dei bambini, a volte si focalizzano troppo sui numeri, che siano i grammi di peso acquisiti tra una visita e l’altra o quelli della pasta, e troppo poco sulle relazioni familiari e sull’esperienza dei pasti.

La questione si complica quando i genitori stessi sono sovrappeso o obesi. I dati dell’Iss indicano che nelle famiglie in cui uno o entrambi sono obesi, l’eccesso ponderale riguarda il 47 per cento dei figli, valore che scende al 31 per cento nelle famiglie in cui uno o entrambi i genitori sono in sovrappeso e al 19 in quelle in cui tutti e due sono classificabili come sotto o normopeso.

Ci sono anche genitori che chiedono un certificato medico che consenta ai figli di mangiare alla mensa scolastica solo in bianco. Nel paese della dieta mediterranea l’educazione alimentare è carente. “Scegliere gli ingredienti, cucinare insieme, magari coltivare piccole piante commestibili, possono essere gesti che avvicinano i più piccoli al cibo in modo naturale e li abituano alla varietà”. Procedimenti e processi che dovrebbero essere insegnati innanzitutto ai genitori, ma che dovrebbero anche essere tra le buone pratiche nelle scuole dell’infanzia, mentre per ora sono un’eccezione.

Nelle scuole c’è anche un altro problema: la scarsa attenzione all’attività fisica. Per Reali “la scuola italiana è ancora troppo focalizzata sul nozionismo, a scapito dell’attività fisica e relazionale”. Non tutte le famiglie possono permettersi di investire soldi per l’attività fisica dei figli in privato. La situazione era già critica, e in peggioramento, prima della pandemia. Nel 2019, il 20,3 per cento dei bambini intervistati dall’Iss non aveva svolto attività fisica il giorno precedente (erano il 16 per cento nel 2014) e solo il 26 per cento era andato a scuola a piedi o in bicicletta (erano il 28 per cento nel 2014).

Come dimostra la questione dell’attività fisica, l’appartenenza a un ceto sociale svantaggiato è un fattore che predispone all’obesità. Entrano in gioco sia lo svantaggio economico sia quello culturale. L’eccesso ponderale interessa il 37 per cento dei bambini con genitori che hanno un basso livello d’istruzione, il 31 per cento di quelli con almeno un genitore diplomato e il 24 per cento dei bambini con almeno un genitore laureato.

Esistono anche forti disuguaglianze territoriali. Nelle regioni del sud i bambini tra gli otto e i nove anni con problemi di peso sono più numerosi che nel resto d’Italia, sia tra i maschi sia tra le femmine. La Campania e la Calabria sono le regioni più colpite, con percentuali che superano il 40 per cento. In questa fascia d’età la prevalenza dell’obesità è maggiore nelle famiglie più svantaggiate. Anche tra gli adolescenti l’eccesso ponderale è più diffuso nelle regioni del sud, con una distribuzione simile a quella osservata tra i bambini e la Campania di nuovo in cima alla classifica.

Reali è convinta che sia necessario formare i genitori su questi temi, oltre al personale sanitario e scolastico. Secondo lei, i pediatri dovrebbero “cogliere ogni occasione utile per farsi raccontare i pasti in famiglia e promuovere uno stile alimentare corretto”. Un messaggio da ribadire a scuola e in tutti i contesti frequentati dai bambini.

La qualità del cibo

Le misure di contenimento della pandemia hanno causato un significativo aumento di peso tra bambini e adolescenti, al punto che per descrivere il fenomeno è stata creata l’espressione covibesity, una fusione di covid e dell’inglese obesity. Numerosi studi internazionali confermano l’aumento di peso soprattutto tra le persone che già erano in eccesso ponderale e tra i bambini in età scolare. Una revisione della letteratura scientifica realizzata dalla Società italiana di pediatria (Sip) ha evidenziato che durante la pandemia circa il 40 per cento dei bambini ha modificato le proprie abitudini alimentari: il 27 per cento ha mangiato di più, soprattutto snack (60,3 per cento), succhi di frutta (14 per cento) e bibite zuccherate (10,4 per cento). Questo peggioramento della qualità del cibo, sottolinea Reali, “si somma al protrarsi della didattica a distanza, che sta anche precludendo a tantissimi bambini e adolescenti dei ceti svantaggiati la possibilità di fare almeno un pasto salutare al giorno, a scuola”.

La Società italiana di pediatria denuncia che durante il lockdown, per i bambini e ragazzi tra i sei e i diciotto anni il tempo trascorso davanti a uno schermo è aumentato di circa cinque ore al giorno (anche a causa della didattica a distanza), mentre il tempo dedicato all’attività fisica si è ridotto a circa due ore alla setti­mana.

Secondo l’indagine L’impatto del covid sullo sport, realizzata a gennaio 2021, il 48 per cento dei bambini e il 30 per cento degli adolescenti ha dovuto sospendere ogni tipo di attività sportiva. La maggioranza di quelli che hanno continuato ha dovuto cambiare sport o praticare all’aria aperta.

Quanto costa l’obesità

Una frase che si ripete spesso ai convegni sulla promozione della salute è che i bambini di oggi sono gli adulti di domani. E, come spiega Reali, “i bambini in sovrappeso hanno un rischio maggiore di diventare adulti obesi”. Non solo, “più a lungo bambini e adolescenti convivono con l’eccesso ponderale, maggiori sono i rischi che da adulti sviluppino una malattia cronica, come il diabete di tipo due, l’asma o l’ipertensione”.

A confermarlo sono di nuovo i dati dell’Iss sulla popolazione tra i 18 e i 69 anni. Nel quadriennio 2017-2020 in Italia quattro adulti su dieci erano in eccesso ponderale: tre in sovrappeso e uno obeso. La stratificazione per fascia di età evidenzia l’aumento costante negli anni: è obeso il 5,3 per cento degli italiani tra i18 e i 34 anni, il 10 per cento tra i 35 e i 49 anni e il 15,1 per cento tra i 50 e i 69 anni. Adulti che vanno incontro all’insorgenza di malattie croniche che incidono in modo importante sulla spesa sanitaria italiana.

Uno studio condotto su dati del 2020 ha evidenziato che i programmi di prevenzione sono fondamentali per contenere la spesa pubblica associata a questa condizione. Nel 2020 i costi correlabili all’obesità in Italia ammontavano a 13,34 miliardi di euro. I costi diretti (7,89 miliardi) erano dovuti soprattutto alle malattie cardiovascolari (6,66 miliardi), al diabete (0,65 miliardi), ai tumori (0,33 miliardi) e agli interventi di chirurgia bariatrica, a cui i pazienti obesi possono ricorrere per perdere peso (0,24 miliardi). I costi indiretti pesavano invece per 5,45 miliardi, di cui 2,62 miliardi per assenteismo.

La situazione è critica. Servono interventi coordinati e ad ampio raggio che raggiungano le persone in tutte le fasi della vita.

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