Autostrade per l’Italia (Aspi) torna sotto il controllo pubblico. Un avvenimento storico per il paese, che segna un parziale ripensamento rispetto alla decisione di privatizzare la rete presa dall’Iri, l’istituto per la ricostruzione industriale, nel 1999. Ma quello che sta accadendo ad Aspi potrebbe avere un senso che va al di là del contesto specifico delle reti stradali, dimostrando un’attenzione nuova del governo verso le principali infrastrutture di comunicazione del paese. Quella che emerge è una nuova tendenza, di cui è testimonianza, ad esempio, il fatto che anche l’eventuale futura rete unica delle telecomunicazioni potrebbe essere gestita da una società a maggioranza pubblica, con l’accordo preliminare firmato il 29 maggio da Tim e Open Fiber che fissa a ottobre il limite per arrivare a un’intesa vincolante. O il fatto che il governo abbia bandito una gara per il polo strategico nazionale che erogherà soluzioni e servizi cloud per la pubblica amministrazione, che vede tra i favoriti il consorzio formato da Tim, Leonardo, Cdp Equity e Sogei da una parte e Fastweb e Aruba dall’altra.

Proprio per monitorare le infrastrutture d’interesse nazionale il governo è al lavoro per estendere anche alle concessioni l’applicazione del cosiddetto golden power, ovvero il potere dell’esecutivo di bloccare o di imporre determinate condizioni alle aziende straniere che assumono un ruolo rilevante in settori strategici e di interesse nazionale. Temi fondamentali in un momento storico in cui le tensioni internazionali, a partire dalla guerra in corso in Ucraina, hanno reso evidente che è importante per i singoli stati mantenere ben saldo il controllo sulle proprie risorse strategiche ed evitare che dipendano da società estere, o da privati che agiscono per la sola logica del profitto. Autostrade per l’Italia è un caso emblematico, dal momento che l’iter per il ritorno in mano pubblica della società è iniziato subito dopo una tragedia: il crollo del ponte Morandi a Genova, il 14 agosto del 2018, in cui morirono 43 persone. Il processo per accertare le responsabilità dell’incidente inizierà il 7 luglio e vede 59 persone indagate per omicidio colposo plurimo, omicidio stradale, omissione d’atti d’ufficio, attentato alla sicurezza dei trasporti, falso e omissione dolosa di dispositivi di sicurezza sui luoghi di lavoro. Tra questi l’ex amministratore delegato di Aspi, Giovanni Castellucci, Michele Donferri Mitelli, che all’epoca dei fatti era direttore delle Manutenzioni, Paolo Berti, che era a capo delle Operazioni centrali, e Antonino Galatà, ex ad di Spea, società incaricata delle manutenzioni.

La revoca della concessione

Ma parallelamente all’iter giudiziario, il crollo ha generato anche un aspro confronto politico, che ha portato all’avvio della procedura di revoca della concessione ad Aspi. È di ottobre 2021 l’accordo raggiunto da Autostrade per l’Italia con lo stato, e che prevedeva l’uscita di scena di Atlantia, società controllata dalla famiglia Benetton, e l’ingresso di un consorzio guidato da Cassa depositi e prestiti. L’ufficializzazione di questa operazione è avvenuta soltanto poche settimane fa: Atlantia, che deteneva l’88,06 per cento del capitale e dei diritti di voto di Aspi, ha ceduto il proprio pacchetto a un consorzio partecipato al 51 per cento da Cdp Equity, società di Cassa depositi e prestiti, e per il restante 49 per cento da due fondi privati, Blackstone Infrastructure Partners e Macquire Asset Management, ognuno con il 24,5 per cento. Il rimanente 11,94 per cento della società era nelle mani del fondo cinese Silk Road, che aveva già annunciato a fine 2021 la sua intenzione di vendere il proprio 5 per cento in Aspi, e di Appia Investments con il suo 6,94 per cento: si tratta in questo caso di un fondo partecipato dal colosso delle assicurazioni tedesco Allianz e da Edf, la più grande società francese nel campo della produzione e distribuzione di energia.

“Credo che ci troviamo di fronte a un parziale ripensamento, anche se non è una vera e propria marcia indietro sul processo delle privatizzazioni, che rappresentano un’onda lunga iniziata negli anni settanta del novecento”, spiega Claudio Ferrari, professore ordinario di economia applicata all’Università degli studi di Genova e presidente della Società italiana di economia dei trasporti e della logistica. “Si è preso atto del fatto che la fase delle privatizzazioni in Italia sia servita soprattutto a far entrare liquidità nelle casse dello stato, mentre probabilmente, e in maniera non volontaria, non è stata disegnata bene la fase dei controlli. Questo ha portato come conseguenza il fatto che si siano registrate nel tempo carenze anche gravi, con i concessionari che hanno avuto mani pressoché libere nella gestione delle infrastrutture”, dice Ferrari, ricordando che, se è normale per i privati cercare il profitto, “il principio dell’efficienza delle aziende deve rimanere nell’alveo dell’interesse generale, e deve essere equilibrato dalle attività di verifica e controllo da parte del soggetto pubblico”.

Autostrade per l’Italia è oggi tra i primi concessionari di costruzione e gestione delle autostrade in Europa, con una rete di 2.855 chilometri solo in Italia. La sua storia inizia con la ricostruzione dopo la seconda guerra mondiale, nel 1950, quando Iri costituisce la Società autostrade concessioni e costruzioni. La pietra miliare è quella della realizzazione dell’Autostrada del Sole tra Milano e Napoli, per la quale viene firmata una convenzione con Anas nel 1956, mentre l’inaugurazione avviene nel 1964. La nascita del gruppo Autostrade con l’aggregazione di altri investitori nazionali del settore risale al 1982, e lo sbarco nel listino Mib30 della borsa di Milano arriva nel 1987. La privatizzazione risale al 1999, quando Iri cedette il proprio pacchetto del 30 per cento con cui esercitava il controllo della società a Schemaventotto, controllata dalla famiglia Benetton. Nel 2003 nasce l’attuale assetto societario, con Autostrade per l’Italia controllata da Autostrade Spa, che nel 2007 diventerà Atlantia. L’ultima convenzione con Anas risale proprio al 2007, ed è entrata in vigore nel 2008, durante il governo Berlusconi. Prevedeva una scadenza trentennale, al 2038, che poi è stata prorogata al 2042. A dare il via libera all’estensione di quattro anni era stata la Commissione europea, d’accordo con il governo Renzi, come contropartita a una serie di investimenti in opere pubbliche e alla rassicurazione dell’azienda di limitarsi ad aumenti tariffari concordati.

Ma come funziona il sistema delle concessioni? Il principio è quello che lo stato cede a enti o società private la gestione e la manutenzione delle infrastrutture autostradali. I gestori che ottengono la concessione a loro volta rientrano degli investimenti chiedendo agli utenti il pagamento di un pedaggio. In tutto in Italia esistono oggi poco più di 6.500 chilometri di autostrade gestite da 24 concessionari, anche se circa la metà è nelle mani di Aspi, mentre Astm (Autostrade Torino-Milano) gestisce il 21 per cento della rete, e il resto è controllato da società più piccole come Autostrade del Brennero o il Consorzio autostrade siciliane.

Il ruolo del ministero

A stipulare convenzioni e concessioni è dal 2012 il ministero delle infrastrutture. A gennaio 2022 il ministro Enrico Giovannini ha disposto la creazione di una commissione indipendente che avrà il compito di aggiornare e rivedere il sistema delle concessioni autostradali, adeguandolo anche alle prescrizioni che vengono dall’Unione europea. I lavori della commissione, presieduta da Bernardo Giorgio Mattarella, docente di diritto amministrativo all’università Luiss Guido Carli, sono quasi conclusi. Dall’allegato al Documento di economia e finanza (Def) presentato il 23 maggio dal ministero per le infrastrutture e la mobilità sostenibili arrivano informazioni utili per il futuro del settore in Italia.

Investimenti potenziati

L’allegato è il documento con cui vengono illustrate le scelte strategiche del governo, e dà forma alle indicazioni del Def su cui si concentreranno gli interventi della legge di bilancio, che sarà approvata entro la fine dell’anno. Il piano di investimenti complessivo previsto dall’allegato infrastrutture è di 279,4 miliardi di euro, l’8,1 per cento in più rispetto al 2021, di cui 83,5 miliardi saranno destinati a strade e autostrade.

Alla fine di aprile, inoltre, Autostrade per l’Italia ha siglato un memorandum d’intesa, un accordo preliminare con Open Fiber, operatore all’ingrosso nel mercato delle infrastrutture italiane di rete partecipato al 60 per cento proprio da Cdp Equity. L’accordo prevede che vengano potenziati i progetti di digitalizzazione delle infrastrutture, viarie e di rete, per le “città intelligenti” e la mobilità sostenibile e innovativa. Open Fiber e Aspi inoltre hanno dato vita a un consorzio, Open Fiber network solutions, per il completamento della rete in fibra ottica, che prevede l’assunzione e la formazione di circa mille tecnici specializzati che entreranno in azione durante il mese di giugno. “Le infrastrutture stanno cambiando e sono destinate a cambiare ancora negli anni a venire. La sfida è quella di associare alla componente fisica la parte digitale, che sarà essenziale anche per l’efficienza delle reti. Chi saprà arrivare per primo all’integrazione migliore tra questi aspetti potrà godere dei benefici più grandi e di una posizione privilegiata sul mercato”, conclude Ferrari.

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