Giulia Bongiorno dice di credere nella giustizia e nell’imparzialità dei magistrati. Tuttavia spiega che “il timore di qualche azione sconsiderata da parte di magistrati politicizzati c’è sempre”. La senatrice della Lega si accoda così ai molti che in queste settimane si sono riferiti all’eventualità di un incidente giudiziario – magari l’apertura di un’inchiesta o l’invio di un avviso di garanzia – che potrebbe danneggiare la destra prima del voto.

Prima di lei, a evocare questo rischio erano stati, tra gli altri, anche Ignazio La Russa e Guido Crosetto entrambi di Fratelli d’Italia, e il direttore di Libero Alessandro Sallusti, nel corso di una campagna elettorale che, tra dossier, carte dei servizi segreti e insulti, è tra le più velenose e opache che si ricordino.

Le parole di Bongiorno colpiscono però in maniera particolare. Per la sua storia politica e professionale, certo, ma soprattutto perché, in caso di vittoria elettorale della destra, proprio lei potrebbe diventare ministra della giustizia. Questo, almeno, è il desiderio espresso dal leader della Lega Matteo Salvini. L’altro nome che sta circolando per quell’incarico è quello di Carlo Nordio, ex procuratore di Venezia ora in pensione, candidato con Fratelli d’Italia.

Quello in corso tra i due è quasi un derby, giocato anche a suon di interviste ai giornali. Soltanto nell’ultima settimana di agosto sono ben quattro quelle di Nordio: a Quotidiano Nazionale, Corriere del Veneto, Stampa e Repubblica. Un’altra l’aveva concessa al quotidiano Domani qualche giorno prima.

È la prima volta che accade dall’epoca di Tangentopoli e delle inchieste di Mani pulite

Dice Nordio che la politica deve riappropriarsi del proprio ruolo, legittimato dal voto popolare, e smettere di essere, “com’è da trent’anni, subalterna alla magistratura”. Ed ecco, allora, la proposta di reintrodurre l’immunità parlamentare. O quella di separare le carriere di giudici e pubblici ministeri, e di “una revisione totale delle funzioni e dei poteri del pm”.

E poi molto altro ancora: dalla inappellabilità delle sentenze di assoluzione in primo grado fino all’eliminazione del reato di abuso d’ufficio. Un programma di governo, appunto. O il completamento di un “progetto berlusconiano iniziato anni fa”, come ha detto invece l’ex presidente dell’associazione nazionale magistrati Eugenio Albamonte.

E anche Bongiorno ha commentato negativamente le parole di Nordio, in particolare la proposta sull’immunità parlamentare, spiegando che “il tema non è nel programma del centrodestra, tantomeno in quello della Lega”. È “meglio pensare ai cittadini prima che ai parlamentari”, ha concluso. Politicamente somiglia a uno schiaffo.

Come è evidente, una presenza sottintesa ma incombente in molti di questi ragionamenti è quella di Silvio Berlusconi, il quale è tornato spesso sulla giustizia in queste settimane, ripescando però vecchie idee, e senza troppa convinzione, come in una stanca riproposizione di un copione messo in scena già trent’anni fa. Ma quello era un altro mondo.

Un riequilibrio forzato

E il punto probabilmente è proprio questo: al di là di qualche personalismo, come pare essere il duello Nordio-Bongiorno, la giustizia finora è stata quasi del tutto assente dalla campagna elettorale, ed è la prima volta che accade dall’epoca di Tangentopoli e delle inchieste contro la corruzione passate alla storia con il nome di Mani pulite.

Da un certo punto di vista, non è necessariamente un male per il paese. Non lo è soprattutto se si considera come in questi ultimi trent’anni le questioni relative alla giustizia abbiano monopolizzato il dibattito pubblico, soffocandolo per lo più tra le cosiddette leggi ad personam inseguite dalla destra per evitare a Silvio Berlusconi qualche guaio giudiziario, e la risposta di stampo giustizialista del centrosinistra.

Per non dire di un potere giudiziario al quale, a partire dagli anni novanta del novecento, una parte del mondo politico e della società ha delegato un ruolo di moralizzazione che però non ha riscontro nelle leggi e nella costituzione. Quel ruolo si è poi dissolto tra gli scandali che recentemente hanno travolto la magistratura, riducendola a una condizione paragonabile a quella in cui si trovarono i partiti della prima repubblica coinvolti nelle inchieste giudiziarie sulla corruzione.

E forse anche questo riequilibrio forzato tra poteri, sebbene orientato al ribasso e dovuto a un forte calo di autorevolezza sia delle forze politiche sia della magistratura, ha contribuito a far uscire la giustizia dalla campagna elettorale, o quanto meno a raffreddare i toni.

È molto significativo in questo senso anche il fatto che Silvio Berlusconi in una lunga intervista rilasciata di recente al Corriere della Sera non abbia mai pronunciato la parola “giustizia”, né abbia dedicato un pensiero al tema, neppure per scagliarsi contro quella parte di magistrati che da sempre ritiene politicizzata. Perfino alla domanda sul lascito politico dei suoi governi ha risposto con un lungo elenco nel quale ha incluso gli argomenti più disparati, dalla abolizione della leva obbligatoria alla legge contro il fumo, tranne la giustizia.

È insomma come se fosse finita un’epoca. D’altra parte, perfino i magistrati sembrano condividere la stessa stanchezza. Tra i candidati alle elezioni non ci sono magistrati attualmente in attività. Un po’ perché, come scrive Liana Milella su Repubblica, “la legge Cartabia-Bonafede vieta per sempre il ritorno attivo in magistratura una volta che l’incarico è terminato”. E un po’ perché “si è dissolto il mito del magistrato che appende temporaneamente al chiodo la toga per tuffarsi nella politica”.

Collezione di toghe

Nelle liste ci sono invece magistrati già in pensione. C’è Nordio, come detto. E ci sono alcuni ex magistrati con una lunga esperienza di lavoro sulla criminalità organizzata come l’ex procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato, o l’ex procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho, entrambi candidati dal Movimento 5 stelle. De Raho, peraltro, segue la strada già battuta dai suoi predecessori Piero Grasso e Franco Roberti, anch’essi al vertice della procura nazionale antimafia e candidati dopo essere andati in pensione.

E questa “collezione elettorale di toghe”, come l’ha definita Luigi Ferrarella sul Corriere della Sera, insieme alla “infornata di condannati definitivi che nel disinteresse generale sta per affollare le liste della destra”, mostra “che le urne del 25 settembre già propongono un risultato: la sostanziale irrilevanza del tema giustizia, e il suo declassamento a puro paesaggio, fondaco di dispute collaterali”.

E dire che di temi invece ce ne sarebbero. Al di là dei dibattiti sulle grandi riforme, basta ricordare l’allarme lanciato proprio in questi giorni dal vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura (Csm) David Ermini secondo cui “siamo a corto di giudici e lo saremo fino al 2024, quindi prepariamoci ad affrontare un’emergenza grave”.

Il Partito democratico si è incantato sul pericolo del ritorno del fascismo, non considerando altri temi

O che, per spostarsi sul piano politico, il risultato elettorale del voto del 25 settembre, se le attuali previsioni si rivelassero esatte, potrebbe consentire alla destra – come segnalato dai quotidiani Avvenire e Manifesto – una maggioranza tale da poter cambiare la costituzione senza la necessità di sottoporre a referendum le modifiche, ma anche di nominare in solitudine i membri laici del Csm e i giudici della corte costituzionale per la quota che spetta alle camere.

Si tratta di organi che occupano una posizione di estrema importanza nell’architettura istituzionale: il Csm perché governa il sistema giudiziario, la consulta perché è il massimo organo di garanzia del sistema istituzionale.

Ciò significa che questa volta la destra potrebbe fare tutto ciò che a Berlusconi non riuscì, avendo lui trovato negli anni nei quali era al governo un muro insormontabile a tutela delle istituzioni e della costituzione rappresentato proprio dalla garanzia offerta dalla corte costituzionale.

Eppure, la giustizia e le questioni aperte o che si potrebbero aprire dopo il voto, per quanto gravi, evidentemente non sembrano più così importanti. La propaganda elettorale del Partito democratico pare essersi incantata sul pericolo del ritorno del fascismo, senza considerare altri temi. La destra resta in silenzio e, se le cose andranno come dicono i sondaggi, ringrazierà.

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